Al giro di boa il secondo degli italiani Piuma strappa applausi e Francesco Munzi fuori concorso affronta un tema difficile ma la parte del leone lo fa il cinema asiatico
dal
Lido di Venezia Luigi Noera – Foto per gentile concessione della Biennale.
Lunedì per VENEZIA 73 è stato presentato il film messicano La región salvaje di
Amat Escalante di
dubbio valore estetico che affronta un tema spinoso della
provincia messicana con il ricorso a visioni falliche. Il fine di voler mettere
a nudo una società che non accetta i gay però è esprimibile in vari modi e toni
e questo eccesso ci pare voglia coprire le carenze di linguaggio cinematografico
del giovane autore. Anche i protagonisti urlano le loro parti. Ecco un altro
esempio di selezione da parte dei curatori non condivisibile. Per dovere di cronaca riportiamo l’interpretazione del
regista in merito: Il film è una visione della lotta per conquistare
l’indipendenza da parte di una giovane donna nata e cresciuta in una cultura
fortemente maschilista, misogina e omofobica. L’origine di La región salvaje
viene da un fatto reale. Alla storia ho aggiunto l’aspetto fantastico/ horror
di una “creatura” per dare una rappresentazione simbolica dell’ambigua
complessità dell’Es, fonte delle nostre necessità corporali, delle nostre
esigenze, desideri e impulsi, soprattutto delle nostre pulsioni sessuali e
aggressive. Nella stessa giornata di lunedì è stato presentato il secondo dei
titoli
italiani in concorso Piuma di Roan Johnson che è stato applaudito per
alcune ingegnose citazioni. Purtroppo il
cinema nostrano non riesce a sottrarsi alla coommedia all’italiana impegnata,
confidiamo nel terzo che verrà presentato nei prossimi giorni. Roan spiega: Ho
scritto questa storia con Ottavia, Davide e Carlotta per esorcizzare una grande
paura che condividevamo, fare un figlio. La chiave è stata trovare una storia
come quella di due ragazzi come i protagonisti Ferro e Cate: così siamo
riusciti a prendere le giuste distanze, rendendo drammaturgico il conflitto che
volevamo raccontare. Invece FUORI CONCORSO un documentario in 3D One More Time
with Feeling del britannico Andrew Dominik
girato in bianco e nero. Prendendo
spunto dall’intervista al cantante poeta
Nick Cave durante la registrazione del suo ultimo album, la storia ha
preso tutta un’altra direzione scavando nell’anima di Nicke e della moglie. La voce calda ed intima di
Nicke fa sognare altri mondi attorno a noi : i mondi dell’anima di ognuno di
noi. Il doc scava nell’anima di Nicke ove lo spettatore si specchia. E’ vero
che il tempo lenisce ogni male, ma siamo legati agli eventi con un elastico che
quando più ci allontaniamo tanto più ci avviciniamo.Nick
aveva chiesto di realizzare un film sulla registrazione e sulla performance del
nuovo album dei Bad Seeds, Skeleton Tree. Dopo la morte del figlio, il regista
è stato molto vicino a lui e alla sua famiglia. Alla domanda: “Perché lo vuoi
fare?”. Nick ha risposto che sentiva l’esigenza di dire alcune cose, ma che non
sapeva a chi dirle. L’idea di un’intervista tradizionale secondo lui era fuori
discussione, però sentiva il bisogno di far capire, a chi era interessato alla
sua musica, come stavano le cose. Alla fine Andrew Dominik ha accettato la
proposta, a patto che potesse girare il film in bianco e nero e in 3D. La
risposta di Nick è stata più o meno: “Non sopporto il 3D del cazzo”. Allora per
convincerlo gli ha mostrato vecchie fotografie in bianco e nero attraverso uno
stereoscopio degli anni cinquanta. Il resto è nelle mani dello spettatore. Per
la selezione ORIZZONTI è stata una giornata da dimenticare con la proiezione
del film canadese Maudite poutine di Karl Lemieux girato in bianco e nero dove spiccano gli
effetti psichedelici con una storia minima di dipendenza dalle sostanze. Invece
per le GIORNATE DEGLI AUTORI il fil asiatico ZAI
JIAN WA CHENG (THE ROAD TO
MANDALAY) di Midi Z. Storia di immigrazione, di emarginazione e povertà, ma
soprattutto ed è l’elemento che lo rende unico il tema del femminicidio
presente anche in questo paese asiatico.Infine nella giornata di lunedì la Biennale di Venezia
ha assegnato un Tributo Speciale al produttore statunitense Chris Meledandri,
nominato all'Oscar® e fondatore e CEO della Illumination Entertainment, per il
suo straordinario contributo allo sviluppo del cinema
d’animazione. Dopo la
cerimonia si è tenuta un'esclusiva "Conversazione", seguita dalla
proiezione di uno speciale filmato tratto dal prossimo film d’animazione SING
(2017), prodotto da Illumination Entertainment. A proposito di questo
riconoscimento, il Direttore della Mostra Alberto Barbera ha dichiarato: “Chris
Meledandri ha rivoluzionato il modo di concepire e realizzare il cinema
d’animazione raggiungendo, con investimenti oculati e contenuti, risultati a dir poco eccellenti sia dal punto di vista
qualitativo che degli incassi. Sotto la
sua guida, la Illumination Entertainment si è imposta nel breve volgere di pochi
anni tra i centri creativi più dinamici e innovativi che operano nel mondo
dell’animazione. L’omaggio che la Mostra
gli dedica intende sottolineare il contributo straordinario dell’artista,
all’origine di successi planetari come Cattivissimo Me e Minions, destinati a
modificare il nostro rapporto con l’immaginario dei cartoons”.La giornata di martedì invece è stata caratterizzata
da un risveglio della Mostra nella selezione VENEZIA
73 con il secondo film
francese : Une vie di Stéphane Brizé . Trattandosi del racconto di una giovane
fanciulla innocente e che si svolge nel 1819
in Normandia , il regista ha creato una atmosfera gioiosa ed intima. La
protagonista Jeanne merita il premio. Jeanne le Perthuis des Vauds entra nella
cosiddetta vita “adulta” senza aver mai affrontato la perdita di quel paradiso
che è l’infanzia, quel momento dell’esistenza umana in cui ogni cosa sembra
perfetta. Ma è proprio l’aspetto che la rende tanto affascinante è al contempo
la condanna. Il film sebbene risenta di una certa lentezza presenta dei meravigliosi
quadri pittorici. Invece è tutto un ritmo il terzo film americano: The Bad
Batch di Ana Lily Amirpour : un racconto surreale dove gli ingredienti di un
buon film ci sono tutti: il cattivo e la ragazza da salvare.
FUORI CONCORSO il ritorno di Francesco Munzi come
cineasta con il doc realizzato
esclusivamente con materiale di archivio: Assalto
al cielo. Il film forse è prematuro per stendere la parola fine su quelli che
furono i prodomi agli anni del terrore. Molti di noi erano ragazzini liceali e
con dolore ricordiamo la contrapposizione tra rossi e neri. Munzi ha voluto
rischiare ma non è ancora il tempo di consegnare alla storia questa parte di
noi stessi. Invece è apprezzabile il montaggio delle varie sequenze del doc.Per la sezione ORIZZONTI due perle rare prodotte ad oriente che dimostrano la loro vivacità culturale. Il primo il nepalese White Sun di Deepak Rauniyar. Il film metta a nudo le contraddizioni di un paese in evoluzione martoriato dalla rivoluzione comunista armata alla ricerca di una pacificazione che stenta ad arrivare. Come al solito gli adulti hanno tanto da imparare dagli adolescenti. Ma il messaggio non è solo questo. La speranza e volontà di riappacificazione del Nepal. Un piccolo film con grandi ideali come spiega il regista: White Sun è una storia che riguarda il peso del passato sul presente del Nepal, ma anche un riflesso delle mie esperienze personali durante la decennale guerra civile e il processo di pace ancora in corso. Le amare esperienze di guerra permeano ancora oggi la vita delle persone, rendendo difficile lo sviluppo. In White Sun sono rappresentate tre generazioni, tutte in conflitto sul significato che casta, comunità e classe hanno oggi per noi in Nepal. Il secondo è un thriller giapponese ben costruito che ha sullo sfondo una questione ancora irrisolta in Giappone simile a quella nepalese. La separazione della società in caste che fa da sfondo ad una storia tutta da scoprire che a che vedere con il titolo: Gukoroku (Gukoroku - Traces of Sin) di Kei Ishikawa. Qualcosa di più lo spiega il regista: La prima volta che giunsi a Tokyo, mentre guardavo le persone che si addensavano all’incrocio di fronte alla stazione di Shibuya, ricordo di aver avuto la forte impressione che la città non avesse un centro. I personaggi di Gukoroku proprio mentre ammirano, sognano e perseguono quel centro, sono di fatto presi in una spirale discendente fatta di niente. Essi rappresentano un microcosmo del Giappone di oggi.
Infine per la SETTIMANA DELLA
CRITICA il poetico ed universale AKHER WAHED FINA (THE LAST OF
US) del tunisino Ala Eddine Slim. Questa volta la migrazione biblica dall’est e
dal sud che attraversano il deserto sahariano prima ed il Mediterraneo dopo da
spunto per qualcosa che va al di là delle innumerevoli storie umane che i
telegiornali ci sbattono in faccia ogni giorno. E’ il viaggio di un uomo senza
nome. Dall'Africa verso un territorio senza nome. Fantascienza filosofica.
Cinema politico. Merita il premio!
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